mercoledì 18 gennaio 2017

Il contribuente impegnato nel salvataggio di Mps-banche-risparmio si chiede: i Politici hanno realizzato che non c’è fiducia se la Vigilanza di Bankitalia non vigila e se l’Abi rappresenta bancarottieri che, oltretutto, hanno il vizietto di sbeffeggiare il contribuente chiamato, con decreto sovrano, a pagare per salvarli?


Lascia allibiti il resoconto dell’audizione, in data 17 gennaio 2017, presso le commissioni congiunte Finanze e Tesoro di Camera e Senato, del capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo, e del direttore generale dell'Abi Giovanni Sabatini. Audizione in merito al Decreto del 23 dicembre 2016 che prevede la garanzia dello Stato sull’emissione di obbligazioni bancarie per garantire liquidità alla banca e stanzia un fondo di 20 miliardi per la ricapitalizzazione precauzionale della banca insolvente agli stress test e per la tutela dei risparmiatori in disapplicazione delle disposizioni sul cosiddetto bail-in (ovvero la ricostituzione del patrimonio nel rispetto del principio che azionisti e creditori siano i primi a subire perdite).

     Il capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, dichiara che il decreto banche all'esame della commissione Finanze del Senato "rappresenta una misura fondamentale nel percorso di graduale uscita dalla crisi del nostro Paese". Cioè il Paese è in crisi perché è sfuggito alla Vigilanza che il sistema bancario stava progressivamente cadendo in profonda crisi? Quanto al burden sharing, la condivisione degli oneri del salvataggio da parte dei risparmiatori, dichiara: "è una condizione necessaria, prevista dalla disciplina europea; coinvolge gli investitori in strumenti subordinati, riducendo corrispondentemente l'onere per lo Stato". Aggiungendo però che "il meccanismo di ristoro per i sottoscrittori al dettaglio di questi strumenti è motivato dalla necessità di evitare che venga intaccata la fiducia che i risparmiatori ripongono nelle banche, e dalla necessità di tutelare, in una fase di transizione alla nuova normativa, soggetti che potevano non aver compreso la natura degli strumenti subordinati sottoscritti in passato". Il contribuente è chiamato a pagare per l’ignoranza finanziaria-la sventatezza del risparmiatore a caccia del miglior rendimento o per la mancata segnalazione, di competenza della Vigilanza, dei bancarottieri-dei treccartari a caccia del risparmiatore? Il capo Dipartimento della Vigilanza pensa di ridare fiducia ai risparmiatori senza garantire che vigilerà e senza indicare come? Ad abundantiam, in relazione alle crisi già in atto, spiega che "la definizione della vendita delle quattro banche rende necessario per il Fondo sostenere ulteriori oneri, il cui valore residuo ammonta a 1,5 miliardi". E quindi "utilizzando le norme contenute nella legge di stabilità per il 2016 e nel Regolamento sul Meccanismo unico di risoluzione, con l'approssimarsi della fine del 2016, la Banca d'Italia ha disposto il richiamo di due quote contributive, per un ammontare complessivo pari a 1,5 miliardi". Cioè, al Capo della Vigilanza sono sfuggiti 1,5 miliardi di nuove perdite accumulate da Banca Etruria, Banca Marche, Cari-Ferrara e Cari-Chieti e non si preoccupa di giustificarle ma addirittura pensa di appropriarsi di fondi che il contribuente non ha ancora deciso di pagare?

     Il direttore generale dell'Abi Giovanni Sabatini ritiene che il decreto inciderà positivamente sul clima di fiducia in quanto trova il giusto equilibrio tra tutela della stabilità, protezione dei risparmiatori e rispetto del quadro normativo europeo". Cioè il risparmiatore riacquista fiducia nella banca se adesso paga gli errori del banchiere come contribuente e, dopo, li pagherà come cliente perché nessuno vigila? Il Direttore ricorda il ruolo importante giocato dalle banche nelle strategie di superamento della crisi: "con riferimento alla norma che consente di spalmare i contributi addizionali al Fondo di risoluzione nazionale in cinque anni, giova ricordare che si tratta di contributi che tutte le banche sono state e sono obbligate a versare per far fronte ai problemi di quelle in difficoltà. In nessun altro settore dell'economia si prevede che il salvataggio dei soggetti in crisi sia posto a carico dei concorrenti, comprimendone la redditività". Cioè il Direttore generale dell’Abi suggerisce che per evitare altre audizioni su altri decreti di salvataggio e garantire la redditività della banca sia opportuno istituire a carico del contribuente un Fondo permanente  salva-banche? Singolare che anche in audizione il Direttore Sabatini chieda misure di trasparenza non per i banchieri ma per i "nominativi delle principali persone fisiche e giuridiche che si sono rivelate debitori insolventi verso tali banche oggetto dei due decreti legge". Cioè non sono i banchieri che hanno sbagliato a prestare soldi ma i clienti che li hanno chiesti, li hanno ottenuti, li hanno spesi come hanno voluto, non sono stati chiamati in tempo a restituirli e non li hanno restituiti?

 

Il contribuente chiamato a pagare capisce perché il cosiddetto “mercato” si è sfilato e si chiede perché debba pagare e quale fiducia possa avere nella sua banca. La Vigilanza non dichiara l’impegno a misure che escludano nuovi decreti salvabanche-nuove chiamate a portare l’oro per il salvataggio del Paese. L’Abi, l’associazione dei banchieri, suggerisce al contribuente che se vuole diventare cliente di una banca, per essere sicuro di non rimetterci soldi suoi e per scongiurare altri decreti salva-banche, deve accertarsi (la Vigilanza non vigila) che tra la clientela della banca non ci siano farabutti che chiedono soldi (che non meritano ma che ovviamente la banca non rifiuta) e che poi non li restituiscono. Oltretutto, come d’abitudine, la Nemesi carogna fa l’eco all’audizione del 17 gennaio 2017, portando alla ribalta, in pari data, la solita scoperta del solito sbeffeggio al contribuente facilitato dalla banca che ricicla “nero”. La Gdf di Varese informa, il 17 gennaio 2017, di avere scoperto un’organizzazione, con basi in Italia, Lussemburgo, Svizzera, Caraibi e Londra che attraverso una vasta rete di collaboratori comprendente anche promotori finanziari, ha indotto oltre 200 privati risparmiatori ed investitori ad impegnare cospicue provviste di denaro (circa 20 milioni di euro), in un “progetto” immobiliare denominato “Puerto Azul”. Le disponibilità finanziarie dei clienti provenivano anche da facoltosi imprenditori, i quali avevano necessità di reinvestire denaro frutto di evasione fiscale delle proprie aziende accumulato in banca (il caso più eclatante ha riguardato la somma di 6,5 milioni di euro). Cioè il contribuente è chiamato a salvare la banca senza avere la fondata speranza di non perderci quattrini, di non essere richiamato a pagare per altre banche e senza neanche avere la garanzia che la banca salvata non lo sbeffeggi praticando impunemente il riciclaggio del “nero”? Una prassi che spiega perché, nonostante la più grande crisi dal 1930 e l’evidente impoverimento di tutti i contribuenti, il Direttore generale dell’Abi possa in audizione celebrare il continuo aumento delle consistenze dei depositi degli italiani: la variazione annua in valore assoluto dei depositi al 31 dicembre 2016 è pari a più 54,6 miliardi, con una crescita del 4,2% annuale, il totale passa così a 1.367.088 milioni di euro e la crescita è stata costante lungo tutto l'ultimo quinquennio di crisi, nel 2011 infatti i depositi erano pari a 1.191.804 milioni. Una prassi alla luce del sole che la Vigilanza non vede, almeno dal 1994, come attesta un’esemplificativa documentazione, reperita presso una medio-piccola ma significativa banca, che insegna come un imprenditore può costruirsi quel fondo nero di 6,5 milioni di euro che la Gdf ha scoperto il 17 gennaio 2017.

 La banca autorizza l’apertura di conti intestati all’amministratore di una società ed ai suoi familiari per riciclare il “nero” aziendale e su quei conti concede affidamenti per tenere sotto controllo l’utilizzo delle disponibilità “nere” accantonate ma non ancora liquide.

 
 
 
Il conto corrente dell’amministratore della società viene aperto per gestire la movimentazione “non ufficiale” della società
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La deontologia vincola la gestione del “nero” al rispetto delle cautele d’uso:
 
 1-plafond di nero accettabile (fido sbf assegni autorizzato dai competenti Servizi centrali)
 2-pegno su titoli
 3-benefondi e richiesta di informazioni alla banca gestore del conto della società (il nero è talmente solido da giustificare un altro conto nero con giro miliardario)
 
 
 
 
Il flusso nero è talmente esagerato da imporre un frazionamento su più conti per non apparire sospetto. Vengono quindi aperti i conti intestati alla madre, alla nonna, alla moglie che ovviamente si portano dietro un po’ di ricchezza personale costruita sul nero.
 
 
 
 
 
 
Malauguratamente la società va troppo bene, presenta incrementi eccessivi di fatturato e quindi un collaterale incremento di nero.
 
 
 
L’etica del business giustifica tutto
 
 

E’ somma goduria per i contribuenti, soprattutto se con unico reddito tassato alla fonte, sapere che la fabbrica del “nero” è anche stata sontuosamente finanziata con il loro portafoglio e che gli incentivi allo sviluppo hanno prodotto i loro positivi effetti ovviamente incentivando anche il “nero”.

 
La legge 64 ha finanziato impianti e macchinari per oltre 10 miliardi di lire.
 
 

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